Molte volte ci troviamo nella disperata necessità di comunicare un vissuto (sensazione o sentimento che genera un’emozione) ma difficilmente riusciamo a trovare le parole esatte per farlo. Rinunciamo al tentativo proprio perché il timore di essere fraintesi diventa molto alto.
Facciamo bene! La capacità di tradurre in parole comprensibili ed obiettive ciò che stiamo vivendo è tutt’altro che scontata. Ancora sono aperti quesiti tra gli specialisti che si occupano di linguaggio quanto questa funzione sia generata totalmente dall’ambiente in cui siamo immersi nel momento dell’apprendimento o vi sia una struttura innata che ne detta le norme di apprendimento.
Ad ora sappiamo solo che la funzione del linguaggio è localizzata nell’emisfero sinistro ed i disturbi che derivano da lesioni in alcune aree deputate a questa funzione. Mi perdonino gli specialisti per questa disamina sbrigativa ma necessaria.
Mi interessa spiegare che quando parliamo in realtà sappiamo ben poco di ciò che stiamo facendo, sebbene deleghiamo alla parola gran parte del compito relazionale. Diventa a questo punto sorprendente che nella maggior parte dei casi ci riusciamo!
Quando è facile? Quando o trattiamo argomenti semplici, facilmente oggettivabili o quando ci muniamo di un linguaggio tecnico atto a risolvere una complessità.
Quando è difficile? Quando vi è un’esigenza di tradurre in parole un concetto che per giunta ancora non è chiaro nemmeno a me. E qui il serpente inizia mordersi la coda. Arriva la necessità di spiegare perfino l’impossibilità di spiegarsi, con un’impennata della frustrazione che si traduce a volte in rabbia addirittura verso l’inetto che mi sta di fronte e che si ostina a non voler capire.
Da questo vicolo cieco ci viene in aiuto l’Arte (scusatemi sono il primo ad essere ritroso all’uso di questo termine in maniera così banale e generica, addirittura gli ho messo la maiuscola, abbiate pazienza ma serve per capire), ovvero la capacità di dare una forma diversa ad uno stato di cose, interno o esterno che sia. In ogni sua forma Essa (uso il pronome ma ci siamo capiti) traduce attraverso metafore ciò che la verbalizzazione di fatto non riesce a fare.
Tutti i principali testi sacri parlano per metafore. La poesia era una necessità per spiegare l’inspiegabile. Il progresso scientifico e tecnologico è stato accompagnato anche da un progresso del linguaggio e da una sua più efficace definizione dei fenomeni osservati. Noi però siamo sempre un passo più avanti e continuiamo a confrontarci con fenomeni prima di riuscire a descriverli in termini oggettivi.
Dati questi presupposti diventa evidente come nel luogo di lavoro stimolare la sensibilità artistica sia uno strumento potentissimo per agevolare la comunicazione tra i colleghi. Per quanto ricco sia il vocabolario tecnico vi sarà sempre la mancanza del termine risolutivo per spiegare un concetto complesso come ad esempio gli obiettivi di una strategia. Quello che non si riesce a spiegare in maniera deduttiva si può illustrare in maniera induttiva.
Ad alcuni capita di trovarsi di fronte ad un quadro o ad una scultura e di sorprendersi mentre tra sé e sé esclamano: “Ah si, è vero!”. Ma è vero cosa? L’effetto che quella produzione ha generato! L’artista ha trovato il segno o la forma in grado raccontare qualcosa che la parola non è riuscita a raccontare.
Munirsi di un repertorio di metafore arricchisce la capacità di linguaggio e permette a tutti i livelli dell’organigramma di proporre soluzioni innovative.